Simona Zecchi è una giornalista “all’antica”, di quelle “ficcanaso”, che consuma i tacchi in cerca di documenti, magari dove qualcuno li aveva sotterrati per non farli più trovare. Giornalista testarda, che non scrive una riga senza caricarsi di “pezze”, quelle che rendono serio e credibile ciò che si scrive. Simona è quindi una giornalista rompiscatole, come dovrebbe essere ogni giornalista degno del mestiere. La Voce di New York ha l’orgoglio di averla tra i suoi preziosi collaboratori, e recentemente di Simona abbiamo pubblicato l’inchiesta sul rapimento di Aldo Moro e del possibile coinvolgimento della ‘Ndrangheta.

A distanza di oltre 40 anni dall’omicidio di Pier Paolo Pasolini, Simona Zecchi ha scritto un libro tanto atteso quanto necessario, un saggio che sta confermando a quegli italiani che credono ancora che in democrazia la verità non sia un optional, come per quell’ orribile massacro consumato all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre del 1975 non sia stata mai fatta giustizia. Giustizia per il poeta, lo scrittore, il regista, che capiva e quindi sapeva e, con coraggio, da vero intellettuale, scriveva. Il libro di Simona Zecchi sulla fine di Pasolini sta scuotendo quell’Italia – ci ostiniamo a credere che esista ancora – chi crede che in una società democratica, quando è ormai troppo tardi per la giustizia, almeno con coerenza si debba riscrivere la propria storia per scacciare il ritorno di certi demoni.
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