Dovessi provare a spiegare che cosa ci lascia Leonardo Sciascia come eredità, insegnamento, oltre ai suoi libri (difficile sceglierne uno in particolare: tutti hanno una loro specifica e singolare importanza; insieme formano un’“enciclopedia” della ragione; tutti sono di conforto e “disvelamento” di una realtà che si può vedere, e che lui vede), direi forse che tutto è racchiuso in una frase che comincia con una negazione, ma che è, più propriamente, un’affermazione. La frase è questa:
“Credo sia il tempo (era la fine degli anni ’70, ma è sempre quel tempo; ndr.) di usare il verbo rompere, in tutta la sua violenza morale e metaforica. Rompere i compromessi e le compromissioni, i giochi delle parti, le mafie, gli intrallazzi, i silenzi, le omertà; rompere questa specie di patto tra le stupidità e la violenza che si viene manifestando nelle cose italiane; rompere l’equivalenza tra il potere, la scienza e la morte che sembra stia per stabilirsi nel mondo; rompere le uova nel paniere, se si vuole dirla con linguaggio ed immagine più quotidiana, prima che ci preparino la letale frittata; e così via… Come dice il titolo di un libro di Jean Daniel, questa è l’era della rottura – o soltanto l’ora. Non bisogna lasciarla scivolare sulla nostra indifferenza sulla nostra ignavia.”
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