Sabato di inizio aprile, tempo splendido, mattinata con gente in strada ovunque, al ritmo intenso di una Parigi che, non ancora presa dalle gite fuori porta, scalpita tra negozi di consumo, librerie, mostre, musei. Al Grand Palais, padiglione che sa di gioioso fin de siècle modernista, nell’ambito di ArtParis 2011, espone allo stand D5 Renata Rampazzi, pittrice torinese, intensa carriera alle spalle, critica favorevole di grandi spiriti come Dacia Maraini e di intellettuali come il filosofo Raphaël Enthoven. Trovo Renata al tavolo del suo stand, a colloquio con amici e visitatori. Quando è il mio turno si mostra gentile; nessuna voglia di posare a prodige della pittura contemporanea. Senza sprecare parole mi getta tra le tele, lasciandomi ai suoi lavori e a ciò che possono risvegliarmi dentro.
Le opere sono posizionate su due grandi pareti rettangolari. Al centro della prima, un olio piuttosto grande si somma a otto dipinti di un metro per un metro. Sulla seconda il mosaico di settantotto micro oli policromi su tela sovrappone colore a colore, emozione a emozione, in un concerto che, come ha scritto un critico, tradisce “un caos di emozioni declinate al femminile”. E’ tutto toni e colori. Rimossi anche i confini scolastici dell’astrattismo, visto che manca qualsiasi accenno di geometria, il gioco corre tra macchie, miscugli, scontri di colori, che si intensificano o sfumano dentro vortici, conflitti emotivi, evocazioni di spazi e abissi che sanno talvolta di infinito, talaltra di concluso. L’artista mescola visioni, sprazzi di luci e di ombre, elegia e dramma, incubi e speranze. Le diversità nelle superfici e nelle forme delle tele fungono da zoom, allargando o restringendo il campo per chi guarda. La scelta di conferire maggiore o minore quantità alla versione pittorica dipende dallo sforzo che l’artista compie verso l’approfondimento o, al contrario, l’espansione. Enthoven ha commentato: “… è come un fluido, un movimento in eterno divenire; non descrivono uno spazio fisico, ma uno spazio interiore e sono, per questo, la quintessenza dell’arte astratta”.
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