Ariosto è uno tra gli autori della letteratura italiana per i quali il dialogo fra tradizioni accademiche diverse è stato più fruttuoso. Vari lavori pubblicati negli Stati Uniti o in Germania hanno avuto una buona circolazione anche in Italia, contribuendo a rinnovare il modo in cui studiosi e studenti si sono avvicinati a un classico come l’Orlando furioso. Molti tra i migliori specialisti del poema, italiani e non italiani, continuano a lavorare in università europee e americane, dove tengono vivo un interesse per l’opera che promette ora di essere rilanciato una volta di più dal cinquecentenario della prima edizione (1516), peraltro tornata disponibile pochi anni fa grazie all’edizione critica curata da Marco Dorigatti (un filologo italiano che per l’appunto insegna a Oxford).
Nella memoria della critica ariostesca è ben presente il ricordo di un convegno tenutosi negli anni settanta alla Columbia University che riunì a New York numerosi ricercatori impegnati a ridisegnare un’immagine del Furioso su cui era ancora visibile l’impronta crociana. E pochi giorni fa a Boston alcune sessioni del congresso annuale della Renaissance Society of America hanno discusso le direzioni di ricerca più importanti emerse negli ultimi anni negli studi ariosteschi: su tutte, l’indagine sullo spazio e in particolare sulle conoscenze e sull’uso della cartografia da parte di Ariosto e quella sul rapporto tra il testo e il suo contesto storico.
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