La VOCE di New York, scrive il collega Stefano Vaccara, esiste per “diffondere e interpretare l’italicità nel mondo”. Di italicità nel mondo, ahimé, è rimasto ben poco, per colpa innanzitutto degli stessi italiani che imbrattano la loro lingua di anglicismi, ma anche di tutti coloro che confondono cultura con prodotti di consumo, successo con reclamizzazione e simpatia col fare la parte dell’italiano burino e facilone.
Non a caso l’italianissimo cantautore Gianmaria Testa, cuneese, classe ‘58, è dovuto partire all’estero (dai cugini d’oltralpe) per fare la gavetta e incidere i suoi primi dischi: Montgolfières, Extra-muros e Lampo, ognuno un piccolo gioiello di sentimenti e poesia. Schivo, sensibile, con una voce fumosa incline al sussurro piuttosto che all’urlo, Gianmaria regala ai suoi ascoltatori non motivi orecchiabili o tiritere da sottofondo ma momenti di vera emozione: dell’amore nascosto “dentro la tasca di un qualunque mattino”, del “tiepido del pane” bramato dall’immigrato, del “lampo” della vita che “ti abbaglia negli occhi, la cerchi e non la trovi più”.
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