Per avere un’idea di quanto zelo il regime fascista abbia impegnato in meschine crociate come quella in favore del “voi”, basta rivedere le caricature e i disegni della Mostra anti-Lei organizzata nel 1939 dal gerarca fascista Achille Starace, con la convinzione che l’ironia, tutta d’intonazione funerea, fosse il mezzo più idoneo per denunciare atteggiamenti e forme tipici della mentalità borghese. E l'uso del "lei", in forma allocutiva era stato messo al bando perché considerato straniero, femmineo, sgrammaticato, nato in tempi di schiavitù. Il pittore e romanziere Alberto Savino arrivò ad affermare addirittura che il “lei” era un mezzo linguistico usato da chi aveva qualcosa da nascondere. “Sia pace all'anima del lei”, esclamò la giovane Elsa Morante.
In un clima di delirio nazionalistico la rivista di attualità femminile, Lei, fu costretta a cambiare il nome in Annabella, anche se, in questo caso, il riferimento era diretto alla donna. Mentre c’era chi, come Totò, incurante di eventuali e temute rappresaglie, costruì una gag su Galileo Galilei trasformato in Galileo Galivoi, o chi, come Benedetto Croce, con amore del paradosso, passò per polemica al “lei” dopo esser rimasto sempre fedele al tipico “voi” napoletano.
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