Out the Frame è il titolo di questa rubrica e quindi, nella settimana post Oscar, pare quasi scontato dare spazio a un regista sorprendente che ha costruito il suo debutto proprio su un utilizzo sconvolgente del “fuori campo”. Si tratta di Nemes Jeles László, in occidente semplicemente László Nemes, il cui Son of Saul si è aggiudicato la statuetta per il miglior film straniero.
Nemes ha da poco compiuto 39 anni, è ungherese di Budapest – cresciuto a Parigi – e Son of Saul è il suo primo lungometraggio, un film che ha raccolto una quantità di premi quasi incalcolabile. Tre in particolare sono allori da Grande Slam: il Grand Prix speciale della giuria a Cannes, il Golden Globe e, appunto, l’Oscar. Una tripletta ancora più notevole se si pensa che Nemes ha deciso di debuttare con un film su Auschwitz, testo, quindi, inevitabilmente e giustamente destinato a essere discusso, sezionato e anche osservato con un occhio particolarmente diffidente: il tempo scorre e ci allontana dalla tragedia più spaventosa del XX secolo e il rischio che, allentandosi pericolosamente la memoria, si tenda a spettacolarizzare e mercificare il dolore è sempre più forte.
Support authors and subscribe to content
This is premium stuff. Subscribe to read the entire article.
Discussion about this post