Napoli fa di tutto per allontanare i visitatori: si è lasciata coprire di rifiuti per settimane intere, è stata teatro di una paurosa guerra tra clan della malavita, manca di mezzi pubblici efficienti ed offre pochissimi spazi dove passeggiare tranquilli, al sicuro da macchine e motorini. Basta e avanza per cancellarla da qualunque itinerario turistico. Eppure alla fine di ogni emergenza, senza alcun bisogno di uffici stampa e reclami pubblicitari, le sue strade tornano ad affollarsi di americani, tedeschi, giapponesi e russi che camminano, guardano, toccano e assaggiano con l’entusiasmo di bambini in gita.
Tra i tanti motivi di questo fascino irresistibile ce ne mettiamo uno che dovrebbe racchiuderli tutti. Come dicono i suoi abitanti, Napoli è mille culure, mille colori: i suoi quartieri sono così diversi tra loro e si trasformano così velocemente – non appena si gira un angolo o si infila lo sguardo su un viottolo secondario – da avere l’impressione di aver visitato dieci città diverse nel giro di mezza giornata.
C’è la Napoli barocca del centro storico, quella popolana dei Quartieri Spagnoli, quella monumentale e severa di Piazza Plebiscito, quella snob e un po’ imbarazzata di Mergellina, quella multietnica della Stazione Centrale. Noi vogliamo puntare l’attenzione su una Napoli ancora poco raccontata, che nulla ha a che vedere con presepi, pizze e Pulcinella. A noi interessa Neapolis, la Napoli romana di duemila anni fa che rivive, miracolosamente intatta, in una delle sue strade più famose, la Via dei Tribunali.
Questa via, stretta, diritta e lunga – esattamente come erano le strade delle antiche città romane – collega Castel Capuano con Piazza Bellini, e in antichità era il decumano maggiore della città, ovvero la sua via principale. Venti secoli sembrano essere passati senza lasciare traccia, tutto è rimasto praticamente identico; non solo il tracciato non ha subìto variazioni, ma pure le sue caratteristiche e la vita che la anima non sono cambiate minimamente.
Diciamolo chiaramente: Via dei Tribunali è un’antichità romana che per sbaglio è arrivata viva fino a noi. Le differenze tra la strada di ieri e quella di oggi sono le minime indispensabili richieste dalla modernità, ma se pure qualche strumento si è rinnovato, identico è rimasto l’uso che se ne fa: per spostarsi si usa il motorino al posto dell’asino e l’auto al posto del carro, per illuminare si usa la luce elettrica quando prima si accendeva un lume a olio.
Non è cambiato lo struscio sotto i portici che proteggono i passanti da pioggia e sole: ai tempi di Roma quasi tutti i marciapiedi erano al coperto, caratteristica fondamentale in un’epoca in cui gli ombrelli erano utilizzati solo dalle dame come parasole, non certo per ripararsi dalla pioggia. Lunghi tratti di Via dei Tribunali hanno conservato questi passaggi che proteggono dalle intemperie, caratteristica rara in una città del Sud.
Vale la pena camminarci sotto, anche se il transito è reso difficile dall’ingombro di sacchi, sedie e rastrelliere che esondano dalle piccole botteghe, perché dentro c’è spazio appena per un banchetto e il venditore. Si cammina cercando di schivare con la testa gli affettati e i dolci che pendono dalle canne e coprono l’entrata come una tenda, evitando gli anziani seduti su sgabelli che se ne stanno con la schiena contro il muro a guardare i passanti. Queste scene si ripetevano tali e quali nelle città dell’Impero: i reperti archeologici e le testimonianze di autori come Marziale ci permettono di sapere che anche i com- mercianti romani “invadevano” le strade con la loro mercanzia, richiamando a gran voce i potenziali acquirenti, i quali spesso si sedevano sulla soglia del negozio per fare due chiacchiere col commerciante.
I napoletani che popolano Via dei Tribunali sembrano condividere con la civiltà romana la stessa tendenza a non distinguere troppo rigidamente tra vita privata tra le mura domestiche e vita pubblica. Noi saremmo infastiditi nel vedere degli estranei checuriosano in casa nostra, ficcando lo sguardo nei nostri salotti mentre guardiamo la televisione. I Romani – i popolani almeno – erano invece abituati a condividere con i passanti la loro privacy: i commercianti e le loro famiglie vivevano negli ammezzati costruiti sopra la loro bottega, e chi si avvicinava per far compere poteva tranquillamente osservare il figlio del negoziante che giocava o la moglie che preparava qualcosa da mangiare per pranzo. Così gli abitanti della Via che vivono al piano terra non hanno problemi a tenere le finestre di casa aperte sulla strada, lasciando che i passanti li osservino mentre giocano a carte o scherzano o litigano.
I negozianti della Napoli di oggi sembrano aver cambiato nulla o quasi delle abitudini dei loro colleghi antichi. Ancora oggi una signora anziana vende bibite da dietro un bancone di marmo, parente stretto di quelli che si vedono a Pompei sull’uscio delle popine, localini dove i Romani compravano qualcosa da bere o da sgranocchiare camminando. Persino gli scaffali dove tiene le bottiglie sono identici a quelli ritrovati in quegli antichi locali. Altri vendono pizzette e supplì cotti nel forno da dietro un banchetto con espositore, e l’unica differenza con le focacce che in quella maniera venivano vendute ai tempi di Cesare è la mancanza del pomodoro. I napoletani di oggi e i loro antenati condividono la stessa abitudine di mangiare in piedi, all’aperto e senza smettere di camminare.
Una immagine di Via dei Tribunali, Napoli
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