Dopo essere entrato in contatto con una sostanza radioattiva nelle torbide e sporche acque del Tevere, un ladrunculo romano, scontroso e chiuso in sé stesso, si rende conto di avere una forza sovrumana. È questo l’espediente narrativo che dà l’avvio a Lo chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti. Ma il nostro supereroe non salva le persone come fa Superman, perché la prima cosa che gli viene in mente di fare è strappare un bancomat dal muro di una banca. Ad Enzo non importa nulla dell’umanità, preferisce passare il tempo a guardare film porno e a divorare budini alla vaniglia.
Il film a basso costo di Gabriele Mainetti è un riuscito esperimento di genere, per cui non stupisce che a due settimane dall’uscita si stia dimostrando un successo di pubblico. Oltre all’eroe riluttante, Enzo Ceccotti, interpretato da Claudio Santamaria, ingrassato di 20 chili, c’è Fabio, un cattivo psicotico e megalomane. L’attore romano Luca Marinelli, che ha tutte le carte in regola per diventare il nuovo Joker di Batman, porta in scena un villain ossessionato dalla fama e da un forte desiderio di rivalsa nei confronti di una società che lo ignora. E poi c’è anche una storia d’amore. Quella tra Enzo e Alessia, Ilenia Pastorelli, una donna problematica convinta che lui sia l’eroe Hiroshi Shiba del famoso cartone animato giapponese Jeeg Robot d’acciaio. Una serie del 1970 creato da Go Nagai, che è stata a lungo popolare in Italia. I riferimenti ad elementi tipici del mondo dei fumetti americani o dei manga giapponesi sono presenti e riconoscibili, ma la storia è originale, divertente con quel suo mix di pulp e elementi della cultura e subcultura pop italiana. Ne abbiamo parlato con il regista.
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