È stato un breve viaggio. Eppure c’era molto: la battuta, la pacca sulla spalla, il desiderio di trasmettere la propria passione, la professionalità, la furbizia, l’ingenuità e tante lingue diverse. E poi quei calici che tintinnavano continuamente difronte ad espressioni perlopiù controllate dalla tensione di raggiungere il proprio obiettivo professionale. È stato un viaggio attraverso l’Italia quello fatto qualche giorno fa al Vinitaly di Verona, di cui peraltro già si è ben parlato su queste pagine. È stato come entrare in un laboratorio, sperimentando vizi e pregi condensati dell’Italia e degli italiani.
Ancor prima di entrare ti accorgi che sarà così. Con la bici evito una fila di macchine che spazientisce solo a guardarla. All’entrata per prendere i biglietti ce n’è un’altra: centinaia e centinaia di persone ammassate, lo sguardo furioso o rassegnato. Ascoltandoli senti le strategie più impensabili per evitare la coda “ma se invece passo di là?”, “se mi presti il tuo tesserino?”, “dici che se ne accorgono?”. La coda e gli italiani sono un ossimoro. Non stanno insieme. Al massimo creano figure fantasiose: non la linea retta ma il ventaglio. Da dietro arriva qualcuno che ti si mette accanto, a destra. Quello dopo a sinistra, e via di questo passo.
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