Ogni festival ha un suo film-copertina, un titolo che – al di là di premi e e riconoscimenti – può racchiudere le linee tematiche e gli spunti che emergono durante quel determinato evento. Il festival di Cannes dello scorso anno, ad esempio, era stato segnato dal lancio trionfale del capolavoro di George Miller – quest’anno presidente di giuria – Mad Max Fury Road, che aveva perfettamente inquadrato un festival cupo e nichilista.
La kermesse di quest’anno sembra invece indicare che il cinema, termometro dell’immaginario del mondo, sente complessivamente l’urgenza di riflettere su due grandi temi, variamente declinati: la dissoluzione progressiva della fiducia nelle grandi autorità simboliche (famiglia, stato, chiesa) e il principio di “controllo” che segna i nostri tempi, sia il controllo eterodiretto sia quello autoimposto. Avremo modo di approfondire questi temi nelle nostre prossime corrispondenze dalla Croisette, tuttavia, in questo scenario, un film che può autorevolmente candidarsi ad occupare la copertina di Cannes 69 è The BFG – The Big Friendly Giant di Steven Spielberg. Il grande regista americano, infatti, scrive un’ideale prefazione al “libro” di questa edizione del festival più importante del mondo, spostando la riflessione su quale sia il ruolo che il cinema può ambire ad occupare nello scenario che i vari film in concorso e non stanno delineando.
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