Nel 1986 Carlo Petrini irrompe nel mondo con “slow food” come risposta al dilagare del fast food, del junk food, e delle abitudini frenetiche, non solo alimentari, della vita moderna. Oggi, partendo dalle medesime considerazioni, si parla di “slow fashion” in contrapposizione netta con l’andamento degli ultimi decenni, che ha visto la produzione tessile e di accessori andare sempre più verso un “fast fashion” improntato alla velocità: piccole collezioni vengono disegnate e lanciate sul mercato al ritmo di una ogni due/tre settimane. Agguerriti e dinamici cool hunter (cacciatori di tendenze) girano il mondo osservando i modelli culturali che si formano ed evolvono nei media, nella moda o semplicemente nella vita comune. I risultati delle ricerche vengono, immediatamente, mandati in produzione.
Zara, H&M, Mango, Esprit, sono solo alcuni dei brand giovani in ambito moda, marchi che, nel giro di pochi anni, sono riusciti ad imporre questa nuova tendenza. Quella che in prima battuta era sembrata innovazione, oggi viene vista come un nuovo sistema usa e getta. Tonnellate di vestiti a basso costo vengono acquistati, indossati e gettati. Generando una catena che ha fatto diventare l’industria della moda la seconda fonte di inquinamento globale dopo il petrolio.
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