Mentre l’Europa odierna sanguina per le morti causate da Foreign fighters islamisti, è giusto e corretto ricordare quando a causare morti e distruzioni in Europa erano gli stessi europei, irriducibilmente convinti di dover usare la violenza per prevalere nelle loro querelle interne. Si trattasse di questioni dinastiche (eredità territoriali e non solo), religiose (cristiani di opposte fazioni), identitarie (indipendenze e frontiere), commerciali (beggar-thy-neighbour), ideologiche (i totalitarismi del Novecento), fino all’avvento della prima Comunità europea nel 1951 violenza e guerra sembrarono essere percepiti dagli europei come strumenti necessari alla soluzione delle loro controversie interne.
In questo senso si può parlare di una storia, lunga quanto la civiltà del vecchio continente, che, sino alla metà dello scorso secolo, viene tessuta, salvo rare pause, soprattutto attraverso conflitti armati. Qualche autore, guardando a quel continuo azzuffarsi tra abitanti dello stesso continente, discendenti spesso della medesima cultura (greco-romana, fondante il cosiddetto Occidente), e adoratori salvo rare eccezioni del medesimo Dio cristiano, ha parlato di un’estenuante eterna “guerra civile” europea: così lunga ed estenuante da portare l’Europa lo scorso secolo, in soli trent’anni (1914-1945), nel baratro della divisione in due parti affidate, al termine della Seconda grande guerra, l’una agli Stati Uniti, l’altra all’Unione Sovietica.
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