In Sicilia la parola petrolio evoca tempi di grandi speranze, ma anche di grandi delusioni. La memoria ritorna agli anni ’50 del secolo passato, quando sulla plancia di comando dell’ENI c’era Enrico Mattei, “Il petroliere senza petrolio”, come veniva chiamato non senza ironia dai grandi magnati del petrolio di allora. Invece Mattei, alla faccia dei suoi detrattori – che erano tanti e agguerriti – il petrolio riusciva a trovarlo, correndo da una punta all’altra del mondo. E lo trovò anche in Italia. Per la precisione in Sicilia, nel mare che si staglia tra Ragusa e Gela. Mattei trovò il petrolio siciliano, ma decise di soprassedere. Motivo: era ed è tutt’oggi petrolio che si trova a grandi profondità e non è dei migliori. Ci avrebbero pensato le generazioni future. Di questo petrolio non se ne volle occupare, alla fine degli anni ’80 del secolo passato, l’allora presidente della Regione siciliana, Rino Nicolosi. E invece se ne sta occupando – e tanto – l’attuale capo del governo italiano, Matteo Renzi. Che ha deciso di cedere tutti i tratti di mare del Belpaese dove si ipotizza la presenza di idrocarburi ai petrolieri di mezzo mondo.
Siamo partiti da Mattei e siamo arrivati ai giorni nostri. Dalle stelle del presidente dell’ENI alle miserie di un’Italia sempre più povera e sempre più dilaniata da polemiche, con dieci Regioni italiane schierate contro il governo nazionale nel referendum antitrivelle previsto per il prossimo 17 aprile: Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Abruzzo, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise. Insomma, la metà delle Regioni del Paese dice “No” alle trivelle.
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