Mentre l’Unione europea metta la testa sotto la sabbia come gli struzzi e paga la Turchia per fermare i flussi migratori, il Papa continua sulla sua strada fatta di atti rivoluzionari e di comunicazione forte e diretta. Francesco, come prima visita nella sua veste di Pontefice, aveva scelto l’isola di Lampedusa. Lo scorso 16 aprile è stata invece la volta di Lesbos, l’isola greca a due passi dalle coste turche, un tempo famoso per i versetti della poetessa Saffo e oggi luogo simbolo dei flussi migratori. Migliaia di donne, uomini e bambini sono passati su queste coste, per poi puntare verso l’Europa centrale e settentrionale. Dopo gli accordi con la Turchia, che poi diciamocelo sono vergognosi quanto come i respingimenti di berlusconiana memoria solo infiocchettati meglio e molto più trendy, la Grecia è diventata un luogo senza via di uscita per decine di migliaia di siriani, afghani, iracheni. Il Papa ha deciso così di volare a Lesbos per una visita lampo, accendendo coraggiosamente i riflettori sul dramma dell’immigrazione. E le parole di Francesco sono state solidali e forti, come d’altra parte ci ha sempre abituato. “Non siete soli”, ha detto ai migranti del Moria Refugee Camp e poi si è rivolto al Vecchio Continente: “L’Europa è la patria dei diritti umani e chiunque metta piede in terra europea dovrebbe poterlo sperimentare”.
Le immagini raccontano un Papa che vola in Grecia per riportare al centro l’umanità, fatta di abbracci e parole per ogni singolo migrante incontrato. E ancora, raccontano di un Papa che ha voluto accanto a sé il Patriarca Bartolomeo e l’arcivescovo Hieronymos per testimoniare, ancora una volta, la rinnovata vicinanza con la Chiesa Ortodossa. “Siamo venuti per richiamare l’attenzione del mondo su questa grave crisi umanitaria e per implorarne la risoluzione – ha detto il Papa – Come uomini di fede, desideriamo unire le nostre voci per parlare apertamente a nome vostro. Speriamo che il mondo si faccia attento a queste situazioni di bisogno tragico e veramente disperato, e risponda in modo degno della nostra comune umanità”.
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