Sette giorni. Tanto è passato tra le visite ai migranti di Papa Francesco e della Cancelliera Merkel. In mezzo, il mare Egeo e la scelta non casuale di due differenti luoghi: la Grecia per il Pontefice, la Turchia per il leader tedesco. Da una parte, la voglia di andare a parlare con chi sperava nell’Europa per avere un posto sicuro dove stare e si è ritrovato bloccato sull’isola di Lesbos. Dall’altra, un esercizio cinico di sorrisi e accordi per far dimenticare all’Unione europea che la questione migranti è ancora aperta. Mentre Francesco ascoltava con una faccia piena di sofferenza le storie di siriani, afghani, iracheni, madame Merkel partecipava al tipico grande avvenimento in salsa turca: campo profughi “a cinque stelle”, bambini sorridenti, fiori e tanti flash. Chissà se gli addetti alla comunicazione della Cancelliera avevano sollevato il problema, eppure la Germania e di riflesso l’Europa fanno una gran brutta figura nel paragone fin troppo semplice tra le due visite.
Mentre la Merkel era vicino al confine turco-siriano, tante organizzazioni umanitarie denunciavano la scelta del luogo della visita: “un campo profughi edulcorato, sterilizzato, per molti versi artificiale”. E non si fa fatica a crederlo. In Turchia l’accesso ai campi profughi è stato sempre molto difficile, con le autorità che hanno spesso cercato di controllare l’afflusso dei media. D’altra parte cosa ci si può aspettare da uno Stato che incarcera i giornalisti contrari al potere e che usa la guerra siriana per bombardare i villaggi curdi? Ma torniamo alla visita.
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