Alle 8.15 del mattino del 6 agosto 1945 l’allora US Army Air Force sganciò una bomba atomica sulla città giapponese di Hiroshima. Tre giorni dopo fu la volta di Nagasaki. Il numero di vittime dirette è incerto; le stime vanno da 100.000 a 200.000. Tra aprile e giugno, i terribili combattimenti per la conquista dell’isola di Okinawa causarono la morte di 150.000 civili e militari giapponesi e alle truppe americane 70.000 tra morti e feriti—un terzo del corpo di spedizione. L’episodio convinse l’alto comando Usa che un’invasione convenzionale del Giappone non fosse proponibile, che convenisse piuttosto uccidere “all’ingrosso” con la nuova arma anziché alla spicciolata, con fucili, carri e artiglieria. Può darsi. Sta di fatto che il mondo intero non glielo ha mai perdonato.
La percezione, tutt’ora corrente, è che sia meglio morire sparati invece che di un eccesso di energia radioattiva. Probabilmente è per questo che sorprende sempre ricordare come anche il Giappone avesse tentato di sviluppare l’arma atomica. Fu una gara contro il tempo che i nipponici persero, anche a causa dei continui raid aerei americani che avevano messo fuori uso gli impianti di produzione.
Support authors and subscribe to content
This is premium stuff. Subscribe to read the entire article.
Discussion about this post