Il nuovo ambasciatore italiano a Washington, Armando Varricchio, era questa settimana a New York per incontrare chi si deve conoscere nella città che non dorme mai. “Ho visto il sindaco Bill de Blasio, bellissima e calorosa accoglienza. Non ho ancora visto il governatore Andrew Cuomo, ci sarà presto l’occasione”. Colui che, dopo esser stato ambasciatore a Belgrado ed essere diventato il consigliere diplomatico di Palazzo Chigi e che infine il premier Matteo Renzi ha voluto a Washington, da ambasciatore d’Italia a New York c’era già stato poche settimane fa. “Mentre accompagnavo il presidente Matteo Renzi, durante le sue recenti visite“, dice ai giornalisti in un incontro con la stampa organizzato nella sede consolare di Park Avenue dal console generale Francesco Genuardi. Per la verità Varricchio, fresco di nomina, aveva circa due mesi fa già morso la Grande Mela anche per ricevere un premio dal GEI, il Gruppo esponenti italiani, dispensatore di onorificenze per tutti i “prominenti” made in Italy, di passaggio o stabili in America, ma con poltrone pesanti, pubbliche o private, dell’establishment italiano.
Per noi di VNY, mercoledì al Consolato, era la prima volta con Mr. Ambassador Varricchio (Al GEI non c’eravamo. Ma siamo della strana razza di giornalisti che fanno domande, magari non ci invitano per questo…). Al Consolato Varricchio, nato e cresciuto in Veneto (Venezia-Vicenza), lo abbiamo trovato come ce lo aspettavamo: diplomatico preparato e affabile, quindi prevedibile. E ci mancherebbe! Un ambasciatore non porta pena né dovrebbe combinare guai: ai giornalisti e al pubblico solo quello che è indispensabile e senza lasciarsi scappare una virgola in più. Varricchio non è mica Vento (lo ricordate?) che con la chiacchiera portava tempesta; o Terzi, che per statura non era secondo a nessuno fino a quando finì per “fracassare” la carriera sui Marò e quel Monti che lo aveva fatto ministro degli Esteri.
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