Il 30 maggio 1913 viene firmato, a Londra, il trattato che regola gli spostamenti di sovranità nei territori toccati dalla Prima guerra balcanica. La carta geografica imposta dalle potenze, segnatamente Gran Bretagna Francia e Italia, appare subito impraticabile: non tiene conto della geopolitica regionale ed è sconnessa dalle richieste delle popolazioni coinvolte. Con il loro errore, le potenze contribuiscono allo scoppio, in giugno, della Seconda guerra balcanica. Il trattato di pace di agosto, a Bucarest, prova nuovamente a stabilizzare l’area, facendo aggio sull’agonico impero ottomano. Come mostrano le recenti guerre post-jugoslave e le attuali tensioni in Kosovo, Serbia, Turchia, Ungheria, la definitiva stabilizzazione di Balcani e propaggini geopolitiche non è ancora conclusa. Qualche responsabilità va cercata proprio in ciò che accadde a Londra un secolo fa.
Il trattato di fine maggio 1913 ritirava dall’Albania ogni contingente d’occupazione, spartiva tra Serbia e Montenegro il territorio di Sandžak, dava la Tracia alla Bulgaria, ricercava senza trovarla una soluzione per la Macedonia. Il conflitto, che si era sviluppato nel biennio 1912-13 anche attraverso pagine di atrocità interetnica e interreligiosa, aveva mostrato che, scomparso l’impero ottomano, non solo la regione era incapace di trovare equilibrio, ma neppure le potenze sapevano offrigliene uno convincente. Per il “concerto europeo” era già un buon risultato che il “buco nero” balcanico non risucchiasse Intesa e Triplice, scatenando quella guerra mondiale che in effetti sarebbe stata a breve originata, nel quagmire balcanico, dall’assassinio a Sarajevo nel giugno 1914 di Francesco Ferdinando (erede al trono asburgico) e consorte, da parte dello studente bosniaco e nazionalista serbo Gavrilo Princip.
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