Quando, la notte fra il 31 maggio e il 1° giugno, fui informato da amici della fondazione polacca Open Dialog che Alma Shalabayeva e la sua bambina Alua, rispettivamente moglie e figlia dell’esule kazako Mukhtar Ablyazov, erano appena state deportate dall’Italia verso il Kazakistan, non ne fui del tutto sorpreso – per due motivi.
Il primo è che ho trascorso quasi tre anni della mia vita in Kazakistan, dove ho diretto un progetto internazionale per i diritti umani, e ho poi continuato a dedicare a quel Paese grande attenzione; ho studiato la sua storia, visitato molte delle sue regioni, conosciuto alcune delle sue principali personalità e analizzato – quando non redatto io stesso – decine di rapporti sulla sua situazione politica. Sapevo bene, dunque, che il regime del presidente Nursultan Nazarbaev, il quale esercita ininterrottamente il potere fin da prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica, tenta da anni di perseguire in ogni modo sia gli esuli politici che i loro familiari. Ablyazov, già ministro di quel governo, oligarca e miliardario, cui è stato concesso asilo politico nel Regno Unito nel 2011 e che è stato accusato di vari reati finanziari, ha sostenuto alcune forze politiche dell’opposizione a Nazarbaev (che certo non brilla per limpidità e trasparenza nelle operazioni finanziarie proprie), ed è quindi considerato da quel regime un nemico di primo piano.
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