Col caso Ablyazov ci riassale la nostalgia. Ci riassale con più impeto del solito. Diventa uno struggimento sempre più profondo. La nostra identità stessa di italiani viene messa a dura prova. Ci guardiamo intorno, nelle vie, nelle piazze, nei ristoranti del centro di Roma: nel perimetro occupato dai potenti… Sono sempre ben vestiti, i potenti, molti di loro “overdressed”, direbbero gli inglesi che in quanto a comportamento se ne intendono. Si crogiolano nell’ostentazione del proprio abbigliamento. Del loro potere e di ogni cosa, appunto, che è espressione, dimostrazione del loro “calibro”. Nulla c’è di salutarmente distaccato in loro. Di sé hanno un’opinione che a noi sembra un poco sproporzionata rispetto ai meriti, alle doti reali, oggettive. Ritengono (questa la nostra sensazione) d’esser baciati da un’intelligenza bismarckiana, da una duttilità alla Giscard d’Estaing, da una perseveranza alla Churchill. Perseveranti lo sono, eccome. Ma non ci sembra che tanta perseveranza venga impiegata per cause giuste, sacrosante.
Ci fa piangere il cuore il caso della moglie e della figlioletta del dissidente kazako fatti rimpatriare dall’Italia. E’ un caso enorme, tragico: se ne parla senza interruzione da giorni e giorni. La sua eco ha raggiunto le Americhe, l’Australia, il Giappone. A quanto ci viene riferito da fonti di stampa, dalle tv, il Kazakhistan ha preteso, l’Italia ha concesso… Astana ha ordinato, Roma ha ubbidito, per le solite faccende di bottega, si dice. Faccende di bottega che poi non tornano a nessun beneficio dei cittadini italiani. S’ha l’impressione che esse servano esclusivamente all’interesse di una plètora di individui: i potenti…
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