La sentenza sul caso Mediaset, letta in qualche minuto venerdì sera in un’aula di quello che i romani chiamano con qualche ragione “Palazzaccio”, suggerisce riflessioni sul sistema giudiziario italiano e sullo scenario presumibile che la nostra politica assumerà nelle prossime settimane.
La prima considerazione è che il senso del dovere e della dignità della giustizia hanno avuto la meglio sulla lentocrazia tribunalizia, male endemico del nostro sistema politico-sociale ed economico. L’impunità, garantita ai mascalzoni dalla lunghezza dei processi, stavolta è stata negata. Auspicabile che non sia accaduto per l’eccellenza dell’imputato di turno, ma per la consapevolezza finalmente acquisita della dignità di una funzione che i magistrati esercitano “in nome del popolo italiano”. Che l’assunzione di responsabilità sia coincisa con l’equo giudizio di Cassazione su Mediaset è altrettanto positivo. In attesa di disporre delle motivazioni della sentenza, sembra di dover riconoscere nella riduzione della pena complessiva già inflitta in appello, un atto che nega la presunta animosità della magistratura contro l’imputato, e smonta definitivamente il teorema di un corpo separato dello Stato che farebbe politica contro l’uno o l’altro partito.
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