Mentre si contavano oltre 300 morti nelle piazze del Cairo, il Presidente Barack Obama giocava a golf a Martha’s Vineyard e lasciava al suo Segretario di Stato il compito di commentare la strage voluta dai generali egiziani. John Kerry pronunciava parole di condanna, ma senza arrivare a minacciare serie ritorsioni contro la giunta militare che ha preso il potere a Il Cairo. Per il generale Abdul-Fattah el-Sisi, di fatto il nuovo uomo forte in Egitto che ha scatenato il bagno di sangue, vedere quella partita a golf che continua al posto di un presidente americano che in conferenza stampa punta il dito contro il regime militare egiziano, sarà stato il segnale che attendeva: gli USA a parole continueranno a protestare, ma nei fatti stanno appoggiando la repressione sanguinaria dei militari scatenata contro gli islamici sostenitori di Morsi.
Quella partita a golf di Obama mentre il sangue era ancora caldo sull’asfalto del Cairo, ha definitivamente portato indietro l’orologio della storia di due anni non solo in Egitto ma nell'intero Medio Oriente. La primavera araba era riuscita a defenestrare Hosny Mubarak occupando la piazza, impresa allora riuscita perché il dittatore non aveva potuto usare le armi della repressione grazie alle minacce dalla Casa Bianca. Se farai scorrere il sangue, era stato avvertito Mubarak, rimarrai completamente isolato e al tuo esercito non faremo arrivare nulla del miliardo e 200 milioni di dollari che ogni anno viene donato dagli USA per mantenerlo fedele. Mubarak cadde perché i suoi generali furono sensibili alle minacce di Obama, dato che i loro stipendi dipendevano e dipendono tutt’ora dagli aiuti americani.
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