Quando, fra qualche tempo, si ragionerà sull’inaspettato successo del “socialista” Bernie Sanders nella campagna per le presidenziali 2016, probabilmente verrà sottolineata l’irresistibile adesione espressa dai giovani democratici al suo programma. Si tratta di una spia del malessere che sta cogliendo ovunque i giovani adulti nati poco prima del millennio, costretti a pagare in prima persona la folle ingiustizia (l’1% più ricco possiede più del restante 99%) del mondo nel quale si sono trovati a crescere. Può sorprendere che ciò accada anche all’interno del paese campione del capitalismo, trovando espressione in una società che, a parte le due vampate anti Vietnam e Occupy Wall Street, non ha mai strutturato generazioni giovanili politicizzate in senso socialista o progressista. Evidentemente qualche nodo causato dalla globalizzazione finanziaria, sta venendo al pettine della storia anche negli Stati Uniti, e il movimento Occupy ha gettato semi che fruttano consenso politico giovanile al radicalismo del settantacinquenne Sanders.
Guardando alla condizione giovanile negli Stati Uniti, non è che fossero mancati segnali di allarme, su come i giovani potessero in qualche modo radicalizzarsi. I sintomi più evidenti vennero, nella stagione politica recente, a destra con il Tea Party, a sinistra con Occupy Wall Street. Ma nessuno avrebbe immaginato l’evoluzione che sta facendo volare Sanders sugli attuali livelli di consenso. Certamente non Hillary e Bill Clinton che hanno impostato la campagna democratica senza prevedere il consistente spazio politico di tipo “nuovo” che i giovani stanno ora donando a Sanders.
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