Occhi azzurri, sorriso genuino e novant’anni tutti da raccontare. Nazzareno Maccari, classe 1926, aveva 17 anni quando i fascisti lo presero prigioniero, non perché ebreo o perché oppositore politico, ma semplicemente perché “cittadino”. Si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, davanti alla sua casa a Tolentino, in provincia di Macerata.
Passarono, lo videro e ne decisero il destino. Nazzareno non aveva nemmeno diciotto anni e non sapeva che di lì a poco la sua vita sarebbe cambiata per sempre. “Non lo so perché mi hanno portato via, quando mi presero i fascisti ero un ragazzino, non ero nemmeno mai andato a Macerata”: dice con il sorriso Nazzareno, che racconta la sua vita come se stesse leggendo tra le pagine di quel diario su cui durante la prigionia scriveva ogni sera, per alleviare il dolore, per avere un amico a cui parlare e per riscaldarsi. “Me lo mettevo sotto l’ascella per sentire un po’ di calore, poi l’ho perso”, racconta il signore dagli occhi di mare con un sorriso che diventa improvvisamente delusione e poi immediatamente dopo speranza: “Chissà se qualcuno l’ha ritrovato e ha letto le mie pagine”.
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