Nel 1318 parte dal Friuli verso Oriente il francescano Odorico da Pordenone, nato Mattiussi o Mattiuzzi. Con credenziali sovrane e lettere diplomatiche era già partito nel 1245 Giovanni da Pian del Carpine, e poi Rubruck, i Polo, Montecorvino, e altri ancora. Il frate friulano è spinto da volontà di conoscenza ed evangelizzazione. Al ritorno non verga memorie ma consegna i ricordi delle cose vissute al suo “monastero, per vera obedientia”. Di quella narrazione esce, esattamente mezzo millennio fa, a cura dell’umanista Pontico Virunio, la prima edizione a stampa, sotto il titolo “Odorichus de rebus incognitis”. Ci sono molteplici ragioni per ricordare l’evento: interessano quelle legate ai contenuti della pubblicazione, autentica finestra su cultura e relazioni internazionali del tempo.
Il libro sulle “cose sconosciute” raccontate da Odorico si fa notare perché rifugge dal filone dei racconti fantastici e delle “mirabilia”, classificandosi, tra le letterature di genere, come una di quelle che meglio descrive i fatti e gli accadimenti ai quali l’autore assiste. Non che manchino nel volume ricostruzioni fantasiose e inverosimili ma, nel commento filologico, sono attribuibili al redattore non all’autore del memoriale. Il frate, al contrario, scrive come un inviato speciale raffigurando la Cina e i territori visitati durante il viaggio di andata e ritorno.
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