Quando vedo la casa per la prima volta sono circa le sette e mezza di una sera d’agosto, quel momento magico appena prima del crepuscolo quando il caldo finalmente abbandona la presa sul giorno e l’aria e il cielo assumono un tocco di colore, accennando le prime luci del tramonto. Arriviamo in auto da Venezia, abbiamo guidato per circa cinque ore, dopo un volo notturno da New York. Siamo stanchi e abbiamo lasciato i nostri bagagli all’agriturismo dove abbiamo alloggiato ogni volta che siamo venuti da queste parte negli ultimi tre anni. Ma nel mese di gennaio abbiamo comprato questa casa, a scatola chiusa per me e nostra figlia Sophie, che dobbiamo vederla ora, prima della rituale pizza della prima notte in Italia, nell’unico bar ristorante nella nostra cittadina.
La casa è immersa in una valle, a metà strada tra i Monti Sibillini e l’Adriatico. Dal crinale lungo il quale corre la strada comunale puoi vederne dall’alto il tetto. Un tempo questa era una strada “bianca”, un misto di ghiaia e gesso, ma di recente è stata asfaltata. Il nostro primo assaggio della casa avviene da quella strada, guardando in basso verso il tetto di vecchi coppi di terracotta: è una casa accogliente nascosta sul lato di una collina. Svoltiamo sul sentiero pieno di solchi che porta alla casa, una volta ben lastricato e utilizzato dalle mandrie per raggiungere la fonte in fondo alla valle, ma ora intasato di fango, breccia e solchi dei cingoli dei trattori.
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