Nel confronto internazionale tra stati per il rispetto dei diritti umani, le prime caselle da conquistare sono sempre simboliche, vittorie morali che devono anticipare quelle sostanziali ancora lontane. Una parte eterogenea del fronte di stati cosidetti difensori dei diritti umani ieri ha vinto una tappa di questa lunga marcia. La votazione all’Assemblea Generale dell’Onu della risoluzione per una moratoria sulla pena di morte, è stata approvata con 104 stati a favore (tra cui oltre quelli Ue da segnalare anche Brasile, Messico e Russia), 54 contrari (qui spiccano Usa, Cina e India) e 9 astenuti (qui la Korea del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon). Voto con conseguenze simboliche, non si potrà costringere nessun stato a fermare il boia ma, come ha risposto il Ministro Massimo D’alema ad un giornalista della Reuters che chiedeva se l’Europa attraverso l’Onu avesse deciso di interferire nelle prerogative degli stati di mezzo mondo: "è un appello" affinché questa venga messa in atto. Il significato morale può comunque creare fastidiosi problemi di immagine. Il testo esorta infatti tutti gli stati che prevedono la pena di morte a "stabilire una moratoria delle esecuzioni in vista dall’abolizione" della pena capitale. Come verifica, nella prossima Assemblea Generale, il segretario generale dell’Onu dovrà presentare il suo rapporto sull’applicazione della risoluzione da parte degli stati membri.
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