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May 22, 2011
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FUORI DAL CORO/ Presunti innocenti solo se…

Fabio CammalleribyFabio Cammalleri
Time: 6 mins read

 Secondo il critico letterario Franco Moretti (fratello del più noto Nanni), docente a Stanford, accanto alla forma narrativa “Romanzo”, esiste la forma narrativa “Opera-mondo”: mentre il romanzo tradizionale appare legato all’istituzione dello stato-nazione, le “Opere-mondo”, come dice la parola stessa, hanno un’espansione territoriale più vasta, legata all’intero pianeta. Espansione non solo geografica, ma pure di contenuti, di forme. Faust, col baratto diabolico tra la sua anima e la conoscenza assoluta, ne sarebbe l’indiscusso modello originario. Ora, il caso Strauss-Kahn pare proprio un “opera-mondo”. Non nel senso che sia un romanzo, non foss’altro perché ha appena avuto inizio, ma nel senso che presenta caratteri tali da connetterlo immediatamente alla cognizione, alla sensibilità, alle passioni che ognuno, in ogni tempo, in ogni modo, dovunque può nutrire sulla Terra. E perché qui, come vedremo, di anima e di diavolo pare si voglia parlare. Quali caratteri? La veste del protagonista, innanzitutto, perlomeno, la più nota: Direttore del Fondo Monetario internazionale, cioè di un’istituzione chiamata potenzialmente ad incidere sulle speranze e sulle paure di qualsiasi stato, e, quindi, di qualsiasi suo singolo cittadino o suddito. Il luogo dell’evento: New York City, la capitale del c.d. mondo occidentale, una ribalta che si estende come un orizzonte, aperto ad una visione libera e sconfinata. L’ipotesi di reato per cui si procede: l’archetipo universale e perenne della sopraffazione, della lineare e plastica malvagità: un uomo contro una donna, un potente contro un’umile, ricchezza contro povertà. Ma, forse, il caso Strass-Kahn è un “opera-mondo” anche in un altro senso. Meno letterario, più volgare. Nel senso che denuda, sta denudando, denuderà (le parole possiedono una loro misteriosa e irrefrenabile impertinenza) più e meglio di mille sofisticate analisi critiche, la viltà dell’impostura, la vanità dell’inganno, il vaniloquio mascherato da professione di principio. Miserie che hanno anch’esse tratti e movenze tipicamente universali. E che non riguardano l’imputato. Riguardano quanti, colti di sorpresa da un imbarazzo improvviso, dalle pieghe di un uomo reso una categoria, si sono inavvertitamente rivelati, attingendo al loro fondo più intimo e più infimo.

Strauss-Kahn è un raffinato socialista, solido aspirante all’Eliseo e, da lì alla guida di una illuminata riscossa sulle plebee derive tribunizie, sparse qua e là in Europa? E allora si prescinde dagli indizi, dalle accuse (tutte da provare, s’intende) e si svicola, anzi si piroetta, con la noncuranza octroyèe con cui una certa cerchia di intellettuali è solita effondere le proprie inaccessibili certezze. Ha piroettato Barbara Spinelli; ha piroettato Bernard Henri_Levy. L’una ha depurato di ogni scoria terrena l’illustre amico-imputato, incorniciandolo nelle sublimi inquietudini di Dostoevskij: non più un possibile impuro, della più terrena delle impurità, ma, noblesse oblige, un sicuro e tuttavia folle giocatore, anzi, Il Giocatore, non avvinghiato allo squallore favelato di una bruttura lupigna, ma slanciato da una ubris escatologica verso un cimento superomistico, disposto a perdersi pur di conoscere, a pagare ogni prezzo per un valico tragico e necessario: sparisce lo sperma dal tappeto, affiora l’automartirio etico ed esistenziale. Quante parole, quanti contorcimenti! L’altro è più avvocatesco, dubita dei reperti, delle dichiarazioni e, con l’amico (un altro), difende la Patria, Parigi da New York, la Francia dall’America. E giù abominio, sdegno, orrore per il Perp-walking, l’esibizione, parte semovente, parte coatta, dell’uomo ridotto a trofeo, del Perp-etrator, alla gogna teletrasmessa e teleamplificata; senza trascurare l’appendice allusiva: a trame occulte, volte a liquidare, con Strauss-Kahn, l’espressione di una visione del pubblico in economia che si proclama neo-keynesiana e kennediana. Appendice, invero, pure presente nelle note libresche della Spinelli, demi-parisienne. Con tali glosse, a ben vedere, l’Opera-mondo, sembra rientrare entro i più contenuti e familiari confini delle convenienze e delle infantili partigianerie, romanzate ad uso e consumo di una provinciale albagia, di un cotè nazional-personalistico: se lo fai tu sei cattivo, se lo faccio io…forse non l’ho fatto e, comunque, non è’ la stessa cosa: perché voi siete barbari e noi no.

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Fabio Cammalleri

Fabio Cammalleri

Il potere di giudicare e condannare una persona è, semplicemente, il potere. Niente può eguagliare la forza ambigua di un uomo che chiude in galera un altro uomo. E niente come questa forza tende ad esorbitare. Così, il potere sulla pena, nata parte di un tutto, si fa tutto. Per tutti. Da avvocato, negli anni, temo di aver capito che, per fronteggiare un simile disordine, in Italia non basti più la buona volontà: i penalisti, i garantisti, cioè, una parte. Forse bisognerebbe spogliarsi di ogni parzialità, rendendosi semplicemente uomini. Memore del fatto che Gesù e Socrate, imputati e giudicati rei, si compirono senza scrivere una riga, mi rivolgo alla pagina con cautela. Con me c’è Silvia e, con noi, Francesco e Armida, i nostri gemelli.

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