A metà maggio Giulio Tremonti ha dichiarato che la stagnazione di sviluppo dell’Italia dipende dal Mezzogiorno. Ha aggiunto che si tratta di una questione politica e che, senza il Mezzogiorno, il paese potrebbe crescere anche più della Germania. Il ministro dell’economia ha precisato che la penisola continua ad essere “duale” benché ciò non comporti, si noti la graziosa concessione, che debba essere “divisa”. Il responsabile delle politiche economiche nazionali ha mancato di precisare a chi appartenga la responsabilità della situazione, presumibilmente perché nell’elenco avrebbe dovuto inserire se medesimo.
E’ ozioso chiedersi se per il Mezzogiorno la riunificazione con il nord sia stato un affare. E però in molti continuano a chiederselo. Saranno gli umori di un anno di celebrazioni unitarie che non sta generando consapevolezze obiettive e condivise, costretti come siamo nell’emergenza politica ed economica. Saranno le bordate arroganti che certi politici del settentrione continuano a sparare contro gli eterni ritardi del Mezzogiorno (ci mancava solo la munnezza di Napoli!). Appaiono sempre più numerosi quelli che, dal Vesuvio in giù, rispondono con un no alla oziosa domanda, stramaledicendo don Peppino Garibaldi e magnificando la lungimiranza di Cavour che il Mezzogiorno voleva lasciarlo dove stava, uno dei tre pezzi dell’Italia da lui concepita.
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