Non c’è democrazia senza un po’ di corruzione”, amava ripetere Clemenceau. Il problema è che in Italia di corruzione, nella vita pubblica, ce n’è veramente troppa. Con un problema in più rispetto ad altri Paesi del cosiddetto Occidente industrializzato: l’assenza, ormai strutturale, di indipenden- za fra i tre poteri – esecutivo, legislativo e giudiziario – che, secondo Montesquieu, è alla base della democrazia. Grazie a una legge elettorale sbagliata, se non assurda – non a caso definita “Porcellum” – gli elet- tori italiani non sono liberi di scegliere i propri parlamentari. Le liste elettorali per le due Camere -Camera dei deputati e Senato – sono infatti bloccate: sono i lea- der dei partiti che decidono chi va in lista. Così se, ad esempio, la lista del Pdl, in una qualunque regione italiana, conquista dieci seggi alla Camera, a risultare elet- ti sono i primi dieci della lista. Idem per il Pd e per gli altri partiti. Una sconcezza. Il popolo, insomma, non ha alcun potere, se non quello di certificare, con il proprio voto, le scelte adottate dalle segreterie dei partiti. Ne consegue che i parlamentari eletti non ri- spondono ai proprie elettori, ma alle stesse segreterie dei partiti. La democrazia trasforma- ta in oligarchia? Il dubbio rimane. Ogni parla- mentare – sia esso eletto alla Camera o al Senato – perde il rapporto diretto con gli elettori e, di conseguenza, la propria indipendenza: se non obbedisce agli ‘ordini’ dei ‘capi’ di partito al turno elettorale successivo non viene ricandidato. Parlamentari ‘camerieri’ delle varie segreterie dei partiti? Altro dubbio più che legittimo.
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