"FINIRE così!” Vien fatto di pensare al lamento incredulo di Tosca sgomenta, che s’è appena resa conto della terribile tragica realtà, al pensare come si possa morire giovani per un grave malore e uno sciagurato incidente.
Amava, Salvatore Licitra, definirsi “grafico di professione, e cantante per caso”. Eppure era da tutti indicato come l’erede di Pavarotti; e, guarda caso, è morto lunedì scorso, 5 settembre, un giorno prima dell’anniversario della scomparsa del suo idolo. Lo ricorderemo sempre per la giovialità del carattere e per la bellezza della voce, nonché per la sincerità con la quale apriva il cuore agli altri.
«Storia curiosa la mia – ebbe a dirci in un’intervista nel novembre del 2003 -. Durante una vacanza in Sicilia, – avevo 18-19 anni ed era il tempo della “perestrojka” – ascoltai la canzone “Tovarich Gorbachev” e la imitai. “Chi è quel matto che canta così bene là fuori”, mi chiese mia madre. “Sono io”, le risposi. E fu tutto. “Schiavo” del canto da allora in poi».
Non aveva mai dimenticato le sue radici siciliane, ne era orgoglioso sempre, e alla sua terra lui, nato “emigrante” a Berna (Svizzera) nel 1968, era sempre tornato con amore. Le cronache, in questi giorni, hanno riproposto le tappe del suo successo, sin dall’esplosiva “Tosca” al Met, nel 2002, quando si trovò a sostituire proprio il suo idolo Pavarotti, da quei dieci minuti di ovazioni scroscianti che salutarono il suo Cavaradossi, fino ai tanti consensi di critica e pubblico collezionati poi nei grandi teatri del mondo, Scala e Arena di Verona su tutti. Di quell’incontro di otto anni fa, riportiamo qui di seguito – in omaggio alla sua virtù artistica e alla sua grande carica umana – alcuni stralci “a futura memoria” [comeavrebbe detto un altro illustre figlio della sua stessa terra, Leonardo Sciascia]. Incideva per la Sony Classical. Ci resterà la memoria del suo bel cantare al Met, alla Carnegie Hall, al Jazz @ Lincoln Center, all’Avery Fisher Hall, a Central Park nonché l’eredità discografica dal “The Debut” al “Trovatore”, dalla “Tosca” a “Forbidden Love”, da “The Man Who Cried” al “Duetto” con Álvarez, all’“Aida”. Non s’era mai montata la testa, anzi ci teneva
ad affermare d’essere “antidivo”. « Il divo in sé non rispetta il pubblico. Studio con lo stesso impegno e gioia dei primi tempi, credo di essere normalissimo, non ho grilli per la testa. Il successo non mi ha cambiato, anzi… Mi affascina questo andar continuamente per il mondo e conoscere sempre nuove persone: un mestiere favoloso».
Quale il segreto di una voce che naturalmente, con calore e passione, spazia dai toni cupi baritonali a quelli d’incredibile luminosità lirica?
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