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November 27, 2011
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La primavera di Obama

Stefano VaccaraIgnazio De MarcobyStefano Vaccara,Ignazio De Marcoand1 others
Lo storico discorso di Barack Obama al Cairo nel 2009

Lo storico discorso di Barack Obama al Cairo nel 2009

Time: 4 mins read

 Il 4 giugno del 2009 il Medio Oriente tremó. Quel giorno, il neo Presidente Barack Obama tenne un discorso al Cairo in cui, rigettando la dottrina di G. W. Bush che spingeva gli Stati Uniti all’intervento per il “regime change” e “imporre la democrazia”, invece esortava i popoli arabi, o meglio di religione islamica, a prendersi loro stessi carico della sfida democratica per governare il proprio destino.
Cosí parló Obama al Cairo: “America does not presume to know what is best for everyone, just as we would not presume to pick the outcome of a peaceful election. But I do have an unyielding belief that all people yearn for certain things: the ability to speak your mind and have a say in how you are governed”.
La facoltá di dire quello che pensi e poter influire nel modo in cui si é governati. Senza pronunciare la parola “democracy”, Obama riuscí a lanciare il messaggio che tutti i popoli, anche quelli di religione islamica, desiderano la stessa cosa: la libertá di pensiero e parola e di scegliersi i propri governanti.
Passó oltre un anno da quel discorso al Cairo, prima che in Tunisia e subito dopo in Egitto, scoppiasse la “primavera araba”. Fin dall’estate del 2009 nel mondo arabo si moltiplicó l’urgenza di mobilitazione “to speak your mind”, soprattutto grazie a internet, con la diffusione di social network e blog. Ma i blogger piú attivi furono censurati e quelli piú popolari finirono anche nelle galere dei regimi “filo americani” di Mubarak e Ben Alí.

Cosí, a pochi mesi dal discorso del Cairo, l’amministrazione Obama pronunció un altro discorso chiave, e questa volta toccó al segretario di stato Hillary Clinton diffonderlo. Il 21 gennaio 2010, Hillary parló al “Newseum” di Washington DC di “Internet Freedom”. In quel discorso Clinton, riferendosi ai tentativi di censurare l’internet, oltre ai soliti Cina e Iran, incluse paesi alleati degli USA come Tunisia ed Egitto (e parló anche di Arabia Saudita…). In particolare Hillary intimó ai due regimi arabi del Nord Africa, per oltre un quarto di secolo retti da dittatori fedeli alleati di Washington, di smettere con la censura e soprattutto di incarcerare i blogger.
Cosí chi si credeva l’intoccabile bastione arabo dell’America in Medio Oriente, nel giro di pochi mesi vide prima un presidente Usa incitare gli egiziani e i musulmani del mondo a “speak your mind” e poi la potente ex first lady ora Segretario di Stato, minacciarli direttamente che Washington non avrebbe permesso piú di censurare internet.
Dopo i fatti di Tahrir Square che hanno portato alla “prima” rivoluzione egiziana l’inverno scorso, l’mministrazione Obama mise il freno alla dottrina dell’ “Internet Freedom” che aiutava gli arabi a liberarsi dalle dittature. Preoccupata, per quanto riguarda l’Egitto, soprattutto della possibilitá che gli estremisti islamici potessero avere il sopravvento con un crollo completo del regime, Obama per il resto del 2011 appoggío l’ordine mantenuto dai militari. In Egitto bastava soltanto che il capo cambiasse (Mubarak) affinché tutto rimanesse com’é (i militari al potere). Ma questa settimana, dopo la rioccupazione della piazza simbolo della primavera araba con giá decine di manifestanti uccisi dalla repressione, ecco la svolta di Obama, che venerdí ha intimato ai militari egiziani di lasciare il potere ai civili senza piú ritardi.
Le precedenti titubanze di Obama furono provocate dal timore che quel processo rivoluzionario partito col discorso al Cairo, stesse accelerando troppo ripetto alle aspettative, troppi rais arabi tremavano e la Casa Bianca non era pronta per le conseguenze. Libia, Yemen, Siria, Bahrain, e presto anche l’Arabia Saudita… Il Medio Oriente era sottosopra ma la Casa Bianca voleva tutto cosí presto?
“Change, yes you can” era la politica estera di Obama diretta ai popoli del Medio Oriente, ma era stata immaginata con tempi piú lunghi: le masse arabe sarebbero arrivate “to have a say on how you are governed” in un lento e continuo processo verso al democrazia per essere al riparo dai pericoli dell’estremismo islamista. Invece la “primavera” scorreva alla velocitá di internet e non poteva essere piú frenata: poteva Obama, dopo aver lanciato il sasso, continuare a nascondere la mano?
L’Egitto é il paese arabo chiave della stabilitá del Medio Oriente, e gli Usa hanno il terrore che lo storico accordo di pace con Israele del ’79 potesse disintegrarsi (prima di Camp David, dal ’48 i due paesi confinanti avevano giá combattuto 4 guerre!). Questa possibilitá terrificante aveva “congelato” la primavera araba di Obama. Ma ora la Casa Bianca sembra realizzare che appoggiare la lotta per la libertá nel paese piú importante del mondo arabo, non solo puó rendere piú sicura Israele, ma anche gli stessi Stati Uniti. Obama nel 2009 al Cairo ha parlato di libertá, e gli egiziani hanno trasformato le sue parole in fatti.
Obama ha scherzato col fuoco e se ne pentirá? Nel 2011, nel Medio Oriente della ormai inarrestabile primavera araba, proteggere i tiranni diventa ancora piú pericoloso e se l’America non risica, rosicherá solo odio e aumenterá le possibilitá di essere colpita.

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Stefano Vaccara

Stefano Vaccara

Sono nato e cresciuto in Sicilia, la chiave di tutto secondo un romantico tedesco. Infanzia rincorrendo un pallone dai Salesiani e liceo a Palermo, laurea a Siena, master a Boston. L'incontro col giornalismo avviene in America, per Il Giornale di Montanelli, poi tanti anni ad America Oggi e il mio weekly USItalia. Vivo a New York con la mia famiglia americana e dal Palazzo di Vetro ho raccontato l’ONU per Radio Radicale. Amo insegnare: prima downtown, alla New School, ora nel Bronx, al Lehman College della CUNY. Alle verità comode non ci credo e così ho scritto Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination (Enigma Books 2013 e 2015). Ho fondato e dirigo La VOCE di New York, convinto che la chiave di tutto sia l’incontro fra "liberty & beauty" e con cui ho vinto il Premio Amerigo 2018. I’m Sicilian, born in Mazara del Vallo and raised in Palermo. I studied history in Siena and went to graduate school at Boston University. While in school, I started to write for Il Giornale di Montanelli. I then got a full-time job for America Oggi and moved to New York City. My dream was to create a totally independent Italian paper in New York to be read all over the world: I finally founded La VOCE di New York. In 2018 I won the "Amerigo Award". I’m a journalist, but I’m also a teacher. I love both. I cover the United Nations, and I correspond from the UN for Radio Radicale in Rome. I teach Media Studies and also a course on the Mafia, not Hollywood style but the real one, at Lehman College, CUNY. I don't believe in "comfortable truth" and so I wrote the book "Carlos Marcello: The Man Behind the JFK Assassination" (Enigma Books 2013 e 2015). I love cooking for my family. My favorite dish: spaghetti con le vongole.

Ignazio De Marco

Ignazio De Marco

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