Naturalmente, come si è già rilevato una volta, si può sempre fingere: ormai lo facciamo senza nemmeno provare fastidio. Per esempio: fingiamo tutti che Monti non sia un Dittatore, nel senso proprio e originario del “Dictator optima lege creatus”. Niente paura: significa, come suggerisce la stessa espressione “optima lege creatus”, designato secondo la migliore e formale osservanza delle leggi vigenti; vi facevano ricorso gli antichi romani, sospendendo esplicitamente tutte le cariche, quando vi era un grave pericolo per la stessa sopravvivenza della Res Publica Romana. Per lo meno: quando il Senato, con il “Senatus Consultum Ultimum”, che era un atto solenne e straordinario (come la nomina di un Senatore a vita o l’alleanza di chi è stato Maggioranza e Opposizione fino a un attimo prima), dichiarava che il grave pericolo c’era (che poi ricorresse effettivamente, era questione discutibile, ma sorvoliamo). La differenza rispetto ad oggi è che allora ci si difendeva dagli attacchi portati con lance, cavalli e armature, su mura, città e territori; e oggi da quelli degli spread e del downgrading, portati sulla moneta, sul tasso di interesse e sul debito pubblico; per il resto, nella sostanza, se non si vuol fingere, è come allora. Ah, dimenticavo, c’è un’altra differenza, in realtà: allora le cose si chiamavano col loro nome, oggi è tutto politically correct, che è un’espressione cretina per coprire tutto un modo di esprimersi altrettanto cretino. Poi si può fingere che la Legge sia giusta per sé, cioè che possieda una intrinseca essenza di armonia e di equilibrio, tale da renderla immune a ogni contagio vizioso e peccaminoso: come direbbe il filosofo cioè, si può sempre fingere che la Legge sia fuori dalla Storia. E invece è abbastanza evidente che la Legge è esattamente il contrario di questa bislacca idea: essa è quale la Storia, cioè gli uomini, coi loro interessi qualità e limiti, assai faticosamente la fanno. Questa elementare verità è apparsa solo con Berlusconi, a quanto consta: nella sua lotta soccombente con un uso della legge persino più “storico” e umano del suo, quale quello tipico delle indagini-lapidazione-e poi si vede. Non è invece emersa, questa caratteristica genetica della Legge, seguitando ad esemplificare, con la legge sui rimborsi elettorali, del cui fondamento si finge solo oggi di dubitare, e dei cui effetti si finge solo oggi di meravigliarsi. Come se prevedere, “per legge”, vagonate di soldi a piè di lista, in favore di organizzazioni ormai del tutto scollate da una dimensione effettiva (il territorio, la clientela, la competizione interna al partito, i congressi, la propaganda diffusa porta a porta); ed in favore di uomini e donne direttamente catapultate su una ribalta di lusso e di prestigio, dopo più o meno lunghe esistenze condotte nell’anonima frustrazione di uno striminzito interno ascensorato-vista-muro o di sontuosi apprendistati all’insegna dell’insufficienza e dello stento scolastico; o, ancora, per non farci mancare niente, dopo divertenti ma infruttuose sperimentazioni scoperecce in attesa del cavallo giusto o, infine, dopo infanzia e adolescenza trascorse nel chiuso sfigato e asociale di un’albagia parrocchiale o “de partito”, non dovessero condurre, come l’acqua di un ruscello che dalla fonte scende a valle, dalla purezza eterea dell’idea alla mistura liquamosa della pratica. L’ultima finzione in ordine di tempo è ora quella dei soldi nel calcio o, come piace dire, per accrescere la perversione della finzione, dello scandalo-scommesse. Che poi bisognerebbe subito precisare, ma quale scandalo? Il primo, il secondo, il terzo, perché a contarli così, il conteggio si fa impervio. Se non fingessimo, dovremmo ammettere che la metamorfosi del calcio (come della finanza, della banche, della politica e dell’amministrazione) è legata ai soldi facili: facili perché sconnessi da ogni giustificazione comprensibile (la formuletta dello show-business è un’altra di quelle cretinerie di cui oggi si potrebbe almeno provare a scorgere, scusate, la vacuità epistemologica); e facili perché prodotti per via di finzioni genetiche (denaro a formazione informatica, che sgorga magico dai misteriosi anfratti di una fucina psichedelico- algoritmica: i famosi modelli matematici, con cui le migliori leve delle ultime due generazioni, abbandonando ponti, fabbriche e Divina Commedia -su cui non si può camminare, ma almeno ingentilisce l’animo e l’intelletto- si sono votate all’elaborazione di denaro virtuale: derivati, software borsistici e tutto il ciarpame paracartesiano dell’Analisi Tecnica). Questa valanga di valori monetari fittizi ha catturato anche il calcio, con il Cavallo di Troia dei diritti tv e della superfetazione di partite che si ripetono ossessivamente ogni tre giorni e il cui corpo sfibrato viene riproposto da venti telecamere H24. Ecco, ammettere tutto questo come “moderno” si può; come si è potuto legittimarlo con bilanci strutturalmente falsi (le poste di bilancio sono necessariamente aleatorie e incerte, come la qualità futura, meglio: la percezione della qualità futura di un calciatore e delle sue pedate; occorreva però che le società calcistiche assumessero la forma di società di capitali per giustificare questa orgia di denaro sistemicamente finto). Solo che poi, se la Legge ha permesso cento, incarognirsi per la scommessa che vale due o tre, è solo l’ennesima, pessima e ridicola finzione.