“Noi vogliamo rimboccarci le maniche e dire che si può fare qualche cosa; e se ognuno fa qualche cosa, allora si può fare molto”. Rimboccarsi le maniche, fare qualcosa, e farlo insieme. Per questo don Pino, viene ucciso dalla mafia. Non accetta le regole di Cosa nostra: "eliminatelo", ordinano i fratelli Graviano, boss del quartiere palermitano di Brancaccio. Pensate, questo sacerdote si era messo in testa che anche in quel quartiere difficile la legge, il diritto e la legalità dovevano avere un senso; si era messo in testa, pensante, di strappare le nuove generazioni ai tentacoli dell’idra mafiosa che ne decideva il destino e ne rubava la vita; e si impegnava: con la parola e l’esempio a dare speranze e prospettive ai giovani.
Pericoloso, questo prete. Pensate, magari il suo esempio finiva con il contagiare altri…poteva diventare un esempio per tutti coloro che non si volevano più piegare alla dittatura di Cosa Nostra. Meglio recidere subito il bubbone, prima che “l’infezione” si estenda. Per questo don Pino andava eliminato. Ci penserà Salvatore Grigoli, detto il “Cacciatore”. Con altri tre mafiosi, guidati da Gaspare Spatuzza, lo aspetta sotto casa, il 15 settembre 1993, il giorno del suo 56esimo compleanno.
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